Anche il reparto di Medicina dell’ospedale di Dolo sta tornando gradualmente alla normalità, come hanno già fatto recentemente altri reparti, quali la Chirurgia, la Oculistica, l’Ortopedia e l'Urologia. Sono ancora in vigore percorsi separati per salvaguardare la sicurezza dei pazienti e dei lavoratori, e rispondere efficacemente qualora giungesse qualche altro nuovo caso; ad oggi, rispetto agli oltre 300 pazienti che sono transitati in Medicina perché positivi al Covid-19, sono registrati solamente due casi positivi ancora ricoverati.
Nel frattempo sta ripartendo anche l’intera attività ambulatoriale, ed è già stato riattivato l’ambulatorio di endocrinologia. La prossima settimana ripartirà quello che riguarda la medicina interna, a seguire l’ambulatorio di reumatologia, quello angiologico, di osteoporosi ed epatologico. «È stata una grande questione – commenta il primario di Medicina, dottor Moreno Scevola – che abbiamo e stiamo ancora affrontando assieme tra medici, infermieri, operatori sanitari, personale amministrativo, con grande attenzione e spirito di servizio, cercando di non cedere alla paura, sempre incoraggiati dalla direzione e dal rapporto costante coi professionisti di Dolo e Mirano, ma anche dell’ospedale hub di Mestre. Ci siamo attivati con meeting multidisciplinari, a cadenza media settimanale, in videoconferenze interne per discutere organizzazione, casi clinici e scelte terapeutiche».
Durante il periodo di maggiore emergenza, tra metà marzo e fine aprile, il reparto con i suoi 67 posti letto ha affrontato un tema cruciale: «Prima lentamente e poi all’improvviso, velocemente - racconta il primario - tutti i letti sono stati occupati da pazienti portatori di Coronavirus. Abbiamo trattato casi diversi e disparati: dal paziente Covid puro, anche giovane, o adulto, senza altre patologie, che veniva ricoverato per polmonite interstiziale con grave insufficienza respiratoria, fino all’anziano già compromesso da altre patologie; quest’ultimo tipo di paziente è quello che il virus più facilmente scompensava, compromettendo la funzionalità di altri organi ed apparati, cioè cuore, fegato, rene, cervello, circolazione e cascata coagulativa».
Il compito principale degli operatori sanitari della Medicina è stato in primis combattere febbre ed insufficienza respiratoria; le scelte terapeutiche sono state praticate in linea con le indicazioni delle società scientifiche e delle linee guida regionali e nazionali; si parametravano gli indicatori (frequenza respiratoria, saturazione di ossigeno, polso e pressione ed evoluzione clinica) per capire quando fosse il momento di intervenire con supporto ventilatorio se il paziente peggiorava. Non bisognava far scendere l’ossigeno: nel momento in cui il monitoraggio dell’ossigeno mostrava un sostanziale e repentino peggioramento, il paziente veniva trasferito in Pneumologia, o altro reparto di Terapia Intensiva, per il supporto ventilatorio.
Durante il ricovero il reparto ha cercato, laddove possibile, di favorire il contatto a distanza tra il degente e i familiari: i messaggi delle famiglie venivano centralizzati nella segreteria e il medico richiamava nel pomeriggio, o prima se si verificavano urgenze. Inoltre, il reparto era stato dotato di alcuni tablet che venivano usati, sempre selezionando i casi, per stabilire un contatto vocale o anche solo visivo con il parente.
«Il Covid-19 è un virus davvero insidioso, infido e pericoloso, che non va sottovalutato – ha evidenziato il primario – e lo dico anche ai giovani che pensano di essere forti, di superare la malattia senza particolari problemi, ma talora non è così. Invito tutti a continuare a rispettare le distanze, ad usare i dispositivi di protezione, in particolare la mascherina quando ci si avvicina ad un’altra persona. La situazione ora sta migliorando, ma come dico ai miei: non dobbiamo abbassare la guardia, mai».
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