martedì 16 giugno 2020

OSPEDALE DI DOLO, RIPRENDE ANCHE L'ATTIVITÀ DEL REPARTO DI MEDICINA, SOTTO PRESSIONE NEI MESI DEL COVID

Anche il reparto di Medicina dell’ospedale di Dolo sta tornando gradualmente alla normalità, come hanno già fatto recentemente altri reparti, quali la Chirurgia, la Oculistica, l’Ortopedia e l'Urologia. Sono ancora in vigore percorsi separati per salvaguardare la sicurezza dei pazienti e dei lavoratori, e rispondere efficacemente qualora giungesse qualche altro nuovo caso; ad oggi, rispetto agli oltre 300 pazienti che sono transitati in Medicina perché positivi al Covid-19, sono registrati solamente due casi positivi ancora ricoverati.
Nel frattempo sta ripartendo anche l’intera attività ambulatoriale, ed è già stato riattivato l’ambulatorio di endocrinologia. La prossima settimana ripartirà quello che riguarda la medicina interna, a seguire l’ambulatorio di reumatologia, quello angiologico, di osteoporosi ed epatologico. «È stata una grande questione – commenta il primario di Medicina, dottor Moreno Scevola – che abbiamo e stiamo ancora affrontando assieme tra medici, infermieri, operatori sanitari, personale amministrativo, con grande attenzione e spirito di servizio, cercando di non cedere alla paura, sempre incoraggiati dalla direzione e dal rapporto costante coi professionisti di Dolo e Mirano, ma anche dell’ospedale hub di Mestre. Ci siamo attivati con meeting multidisciplinari, a cadenza media settimanale, in videoconferenze interne per discutere organizzazione, casi clinici e scelte terapeutiche».
Durante il periodo di maggiore emergenza, tra metà marzo e fine aprile, il reparto con i suoi 67 posti letto ha affrontato un tema cruciale: «Prima lentamente e poi all’improvviso, velocemente - racconta il primario - tutti i letti sono stati occupati da pazienti portatori di Coronavirus. Abbiamo trattato casi diversi e disparati: dal paziente Covid puro, anche giovane, o adulto, senza altre patologie, che veniva ricoverato per polmonite interstiziale con grave insufficienza respiratoria, fino all’anziano già compromesso da altre patologie; quest’ultimo tipo di paziente è quello che il virus più facilmente scompensava, compromettendo la funzionalità di altri organi ed apparati, cioè cuore, fegato, rene, cervello, circolazione e cascata coagulativa».
Il compito principale degli operatori sanitari della Medicina è stato in primis combattere febbre ed insufficienza respiratoria; le scelte terapeutiche sono state praticate in linea con le indicazioni delle società scientifiche e delle linee guida regionali e nazionali; si parametravano gli indicatori (frequenza respiratoria, saturazione di ossigeno, polso e pressione ed evoluzione clinica) per capire quando fosse il momento di intervenire con supporto ventilatorio se il paziente peggiorava. Non bisognava far scendere l’ossigeno: nel momento in cui il monitoraggio dell’ossigeno mostrava un sostanziale e repentino peggioramento, il paziente veniva trasferito in Pneumologia, o altro reparto di Terapia Intensiva, per il supporto ventilatorio.
Durante il ricovero il reparto ha cercato, laddove possibile, di favorire il contatto a distanza tra il degente e i familiari: i messaggi delle famiglie venivano centralizzati nella segreteria e il medico richiamava nel pomeriggio, o prima se si verificavano urgenze. Inoltre, il reparto era stato dotato di alcuni tablet che venivano usati, sempre selezionando i casi, per stabilire un contatto vocale o anche solo visivo con il parente.
«Il Covid-19 è un virus davvero insidioso, infido e pericoloso, che non va sottovalutato – ha evidenziato il primario – e lo dico anche ai giovani che pensano di essere forti, di superare la malattia senza particolari problemi, ma talora non è così. Invito tutti a continuare a rispettare le distanze, ad usare i dispositivi di protezione, in particolare la mascherina quando ci si avvicina ad un’altra persona. La situazione ora sta migliorando, ma come dico ai miei: non dobbiamo abbassare la guardia, mai».

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